Cinzia Crosali - ultimi interventi
Cinzia Crosali - 13-09-2006
Ringraziamo Cinzia che ci regala questo pezzo apparso su "Focus en France" - Red

La delinquenza e i disordini hanno sempre disturbato società e politici; ma mentre la prima chiede ai secondi di occuparsi del problema, i politici preferiscono ...
Cinzia Crosali - 25-05-2005
Ringraziamo Cinzia per il suo nuovo contributo. La riflessione è stata pubblicata su Focus magazine dello scorso marzo. Le brevi traduzioni sono a cura della Redazione.


Parigi - Nell'ambito della preparazione di una legge sulla prevenzione della delinquenza annunciata da M. Dominique de Villepin, Ministro dell'Interno del governo francese, della sicurezza e delle libertà locali, un rapporto preliminare è stato consegnato al Ministro, lo scorso Ottobre, dalla Commissione preventiva del gruppo di studio parlamentare sulla sicurezza interna (GESI), di cui è presidente Jacques Alain Bénisti, deputato di Val de Marne.
Alcune parti di questo Rapporto hanno destato l'indignazione sia degli studiosi di linguistica, sia degli operatori psico-sociali. Io penso che prima di tutto è come cittadini che dobbiamo reagire a questo tipo di discorso e soprattutto come appartenenti a una comunità di persone che ha spesso parlato il dialetto di origine, senza per altro diventare delinquenti.
Ma vediamo in dettaglio che cosa propone il famoso Rapporto. Alla pagina otto leggiamo:

«Se le azioni di prevenzione vogliono essere efficaci, devono assolutamente iniziare dai primissimi sintomi di devianza, quindi dalla più giovane età. Tutti sono d'accordo nel sostenere che se i rimedi non vengono posti in questa precisa fase del comportamento deviante del bambino, la deriva non cesserà di accentuarsi ... »

Prima di specificare quale sarebbero i "rimedi" da adottare per impedire la tendenza antisociale del fanciullo, i redattori di questo Studio preliminare prendono in esame il percorso "tipo" del giovane delinquente, tappa per tappa, a partire dalla culla. Una immediata relazione (di causa-effetto) è stabilita implicitamente, ma in modo chiaro, tra il bilinguismo e la traiettoria deviante. Così il fatto di avere dei "genitori di origine straniera" che parlano in casa il dialetto del loro paese, costituirebbe nella catena delle cause, il primo fattore potenzialmente generatore di delinquenza. Sempre alla pagina otto del Rapporto leggiamo:

Cinzia Crosali - 20-05-2005
Psicologa e psicanalista, Cinzia ha lavorato e lavora con bambini e con adulti, in realtà bilingui che spaziano dalla scuola italiana all'estero alle carceri minorili. La ringraziamo per averci messo a disposizione alcune sue riflessioni, pubblicate anche sulla rivista Focus magazine, nate da anni di ricerca e di sperimentazione intorno alle problematiche psicosociali dell'emigrazione e della comunicazione (Red)


Per noi italiani che viviamo in Francia, l'equilibrismo tra le due lingue è quotidiano. Anche se la conoscenza del francese è perfetta, accade sempre che una parola, un'espressione, un modo di dire italiano si imponga nella frase e ci risulti intraducibile. A volte invece è un'immagine linguistica francese che non trova un suo corrispondente nella lingua italiana. Cerchiamo allora il corrispettivo meno lontano, quello che si adatta di più, ma restiamo scontenti, qualcosa non ci soddisfa, ci lascia con un senso d'incompletezza e di frustrazione. Non è propriamente il significato a deludere, quanto la tonalità, il colore, la materialità stessa della scelta linguistica.
Ne sanno qualcosa i traduttori, che, quando fanno in modo appassionato il loro lavoro, vivono momenti di profonda indecisione, sempre sul bordo di un tradimento nei confronti della lingua da tradurre. L'analogia che avvicina l'atto del "tradurre" con quello del "tradire" è largamente conosciuta. Qualcosa di passionale e intimo è, infatti, all'opera. Un'amica traduttrice che lavora con un gruppo di colleghi professionisti, mi raccontava recentemente quanto siano accese le discussioni tra i traduttori del suo gruppo di lavoro. Quando non si trova l'accordo su una scelta linguistica facilmente si arriva a litigare anche in modo aspro. Nessuno vuole cedere o fare concessioni all'altro; a volte le dispute sulla scelta delle parole, sulla sintassi e sullo stile diventano così violente da rendere impossibile la continuazione del lavoro. Pare proprio che qualcosa di molto intimo e prezioso sia messo in gioco. Di che cosa si tratta? A che cosa non si vuole rinunciare? Quale punto insopportabile viene toccato?

Lo psicanalista Jaques Lacan aveva chiamato questo qualcosa di intimo e prezioso: "la lalangue" e diceva che essa non ha niente a che vedere con il dizionario. Essa è più vicina al balbettio iniziale del soggetto parlante, alla lallazione del lattante, alla primordiale forma ed emozione che la lingua madre ha assunto per ciascuno di noi quando siamo entrati nel linguaggio, all'inizio della nostra vita.
Se la traduzione è così difficile e dolorosa è perché ogni parola deve essere estirpata dalla "lalangue" della prima lingua per trovare un corrispondente nella seconda lingua della traduzione. Una parola della lingua materna deve essere lasciata andare, lasciata cadere, deve essere strappata alla sua familiarità, al fascino e alla consolazione che dà questa familiarità. Una separazione da un'intimità è allora in atto. E' questa l'operazione difficile della traduzione, si tratta di un'operazione in cui devo rinunciare all'intimità rassicurante di una parola della mia lingua, devo separarmi da essa, e questo quando la parola corrispondente della seconda lingua non è ancora a mia disposizione: tante parole si affacciano e mi si propongono, ma nessuna per un breve momento è utilizzabile. E' questo un istante di vacillazione, un impercettibile momento di assenza di "bordo". Ci si stacca da una riva, ma l'altra riva non è ancora a portata di mano. C'è dunque un istante vuoto, che implica una separazione, un taglio, una vertigine. Poi la parola della seconda lingua prende forma, s'impone, s'iscrive: l'altra riva è toccata. Ho cercato di descrivere al rallentatore un processo mentale che avviene in modo automatico, quasi inconsciamente, ma che non è indolore. Chiunque abbia cercato di tradurre una poesia, o una canzone sa quanto grande sia l'impotenza, frustrante, di rendere con fedeltà la materialità e la sonorità di un verso o di un'immagine poetica. Quando poi riusciamo ad approdare ad una traduzione che ci piace c'è una vera giubilazione, non si tratta di una semplice traslazione da dizionario, ma di un vero atto di creazione con tutto il piacere che ogni creazione comporta.
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